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Santi del 13 Marzo

Il mio Santo > I Santi di Marzo

*Beato Agnello da Pisa - Francescano (13 marzo)

Pisa, 1194 circa - Oxford, Inghilterra, 1235/1236
Fu compagno di san Francesco d’Assisi dal 1212; da lui fu inviato nel 1217 in Francia come provinciale e poi nel 1224 in Inghilterra per istituirvi la nuova provincia francescana. Assisté al capitolo generale di Assisi nel 1230. Culto confermato da Papa Leone XII.
Martirologio Romano: A Oxford in Inghilterra, Beato Agnello da Pisa, sacerdote, che, mandato da san Francesco prima in Francia e poi in Inghilterra, vi istituì l’Ordine dei Minori e promosse lo studio delle scienze sacre.  
Nel 1211, dopo una visita di San Francesco, i Francescani si insediarono a Pisa. In quell’occasione il giovane Agnello conobbe il santo d’Assisi e, attratto dal suo ideale di vita, entrò nel primitivo convento, sorto presso la chiesa della SS. Trinità.
Nel Capitolo Generale del 1217 si decise che un gruppo di frati si sarebbe recato in Francia.
Francesco cominciò il viaggio ma, incontrato lungo la strada il Cardinale Ugolino (futuro Papa Gregorio IX), dietro sue insistenze, decise di restare in Italia. A capo della spedizione fu posto Agnello, che era ancora un diacono. Giunti a Parigi,  Agnello aprì nei dintorni alcuni conventi ed ebbe la felice intuizione di fondare una comunità per i francescani studenti universitari, considerando che la capitale francese era tra le più importanti dal punto di vista culturale.
Dopo sette anni S. Francesco nominò nuovamente Agnello capo di una missione, composta da otto frati, questa volta diretta in Inghilterra.
Tra questi vi erano tre inglesi, tra cui un sacerdote, Riccardo di Ingworth.
Passato il Canale della Manica, il gruppo sbarcò nell’isola il 10 settembre 1224. Si insediarono a Canterbury, trovando per qualche tempo soggiorno notturno presso una scuola, quando era chiusa agli studenti.
Sopportarono molti disagi per le temperature rigide e per il poco cibo, ma il loro contegno e il loro entusiasmo destarono molta ammirazione. Ricevettero in dono, poi, un terreno poco ospitale su cui costruirono un convento.
Da qui, due inglesi e due italiani, tra cui Agnello, si recarono a Londra dove, dopo essere stati accolti dai Domenicani, affittarono una casa. Grazie alle numerose vocazioni fu successivamente aperto un convento anche a Oxford con scuola teologica che grazie al Beato di Pisa, assunse un’importanza straordinaria.
Fedeli a “sorella povertà”, in tutti i conventi si viveva in modo austero e il tempo da dedicare agli studi non doveva compromettere la preghiera. Anche a Cambridge venne fondata una importante facoltà teologica, che però non eguagliò quella di Oxford.
Il Beato Agnello, la cui fama di santità in vita raggiunse Re Enrico III, fu punto di riferimento anche per i secoli a venire. Tra i maggiori teologi che studieranno in seguito nelle scuole da lui fondate, basti citare Bacone e il Beato Duns Scoto.
Il Beato, nonostante la malferma salute, volle tornare brevemente in Italia. Ristabilitosi ad Oxford, morì il 13 marzo del 1235 o 1236, a soli quarantuno anni. Il suo culto è stato confermato da Papa Leone XIII il 4 settembre 1892.  
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Agnello da Pisa, pregate per noi.

*Sant'Ansovino di Camerino - Vescovo (13 marzo)

Sant'Ansovino fu vescovo di Camerino, di cui è patrono, alla metà del IX secolo, precisamente dall'850 all'868, presumibile data della sua morte. Di origini probabilmente longobarde, fu educato presso la scuola della cattedrale di Pavia.  
Prima di essere scelto come vescovo della località marchigiana, fu consigliere dell'imperatore Ludovico II sempre a Pavia. La sua carità e la visione netta del proprio ruolo pastorale lo portarono
a contestare con coraggio proprio il sovrano: infatti, non accettò l'episcopato fin quando non ebbe da Ludovico l'assicurazione che non gli sarebbe stato chiesto di impugnare le armi, come purtroppo spesso accadeva ai vescovi del tempo. (Avvenire)  
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Camerino nelle Marche, Sant’Ansovino, vescovo.  
Ludovico II, re d'Italia, associato all'impero dal padre Lotario I, volle Ansovino a Pavia come suo consigliere e confessore. Alla morte del vescovo di Camerino, Fratello, i concittadini lo elessero suo successore, ma Ansovino accettò solo quando Ludovico, rassegnato a perderlo, lo ebbe prosciolto dall'obbligo di servire in armi l'impero.
Consacrato a Roma da Leone IV, vi ritornò per il Concilio Romano indetto da Niccolò I nell'861, e si firmò Ansuinus Camerinensis.
Il suo ministero si distinse per la generosità verso i poveri e per l'impegno posto nella pacificazione delle fazioni.
Morì il 13 marzo nel diciottesimo anno del suo episcopato. In quel giorno lo ricordano i martirologi, tra cui quello dei Canonici Regolari Lateranensi. Un sarcofago monumentale eretto verso il 1390 nella Metropolitana di Camerino, conserva il suo corpo.
Anticamente la festa era celebrata con luminarie a cui partecipavano i sindaci di oltre ottanta castelli dello stato di Camerino. Al suo nome e a quello di s. Venanzio fu dedicata nel 1674 dalla comunità camerinense di Roma la chiesa di S. Giovanni in Mercatello (poi di S. Maria di Loreto ai piedi del Campidoglio, demolita nel 1999.
Oltre a due chiese rurali in diocesi di Camerino i torricella e Avacelli), portano il nome di Ansovino la parrocchiale di Casenove (Foligno), quella già dei Minori Osservanti di Bevagna ed un'altra, ora scomparsa, presso Monsammartino.

(Autore: Giacomo Boccanera - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ansovino di Camerino, pregate per noi.

*Beato Berengario de Alenys - Mercedario (13 marzo)

Insigne commendatore del convento di Santa Maria in Avignone (Francia), il Beato Berengario de Alenys, fu un grande religioso mercedario che testimoniò con l’esempio della sua vita la vera fede al Signore.
Colmo di meriti e famoso per la santità nello stesso convento morì in pace.
L’Ordine lo festeggia il 13 marzo.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Berengario de Alenys, pregate per noi.   

*Santa Cristina - Martire in Persia (13 marzo)

m. 559

Martirologio Romano: In Persia, santa Cristina, martire, che, percossa con le verghe, ricevette la corona del martirio sotto il regno di Cosroe I di Persia.
Il Sinassario Costantinopolitano commemora il 14 marzo una santa Cristina, martire in Persia (nel cod. Parig. Coislin 223 la commemorazione è anticipata al 13 marzo e vi si aggiunge che la martire fu fustigata).
Anche il Martirologio Romano la ricorda il 13 marzo.
Di una Cristina martire persiana, chiamata anche Iazdo, figlia di Iazdin, ci resta, sebbene non completa, una passio in siriaco pubblicata dal Bedjan.
Non esistono ragioni sufficienti per negare l'identificazione di questa Cristina o Iazdo, con la Cristina commemorata dal Sinassario Costantinopolitano; appare invece non sufficientemente motivata l'opinione espressa nel commento al Martirologio Romano, secondo cui essa sarebbe da identificarsi con la Santa Sira o Sirin che subì il martirio sotto Cosroe I il 15 marzo del 559.
(Autore: Francesco Saverio Pericoli Ridolfini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Cristina, pregate per noi.

*Beata Dulce (Maria Rita) Lòpes Pontes de Souza Brito - Religiosa (13 marzo)

Salvador, Brasile, 26 maggio 1914 - 13 marzo 1992

Il suo nome di battesimo era Maria Rita. Nacque nel 1914, e aveva sei anni quando sua madre morì e le zie si incaricarono della sua educazione. A 13 anni una di loro la portò a conoscere le zone più povere della sua città, fatto che risvegliò in lei una grande sensibilità. A 18 anni entrò nella Congregazione delle Suore Missionarie dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio, dove iniziò ad essere chiamata Dulce.
Una delle ispirazioni per il discernimento della sua vocazione fu la vita di Santa Teresina del Bambin Gesù: "Per quanto amore abbia nel mio piccolo cuore, è poco per un Dio così grande",
scriveva suor Dulce quando entrò in convento. "Su esempio di Santa Teresina, penso che devono essere graditi al Bambino Gesù tutti i piccoli atti d'amore, per quanto piccoli possano essere"
Amore e opere
I suoi piccoli atti d'amore si tradussero in grandi opere sociali, e suor Dulce fondò l'unione dei lavoratori di San Francesco, un movimento cristiano di operai a Bahia.
Iniziò poi ad accogliere persone malate in case abbandonate in un'isola di Salvador da Bahia. In seguito furono sfrattate, e la religiosa trasferì la struttura di accoglienza in un ex mercato del pesce, ma il Comune la costrinse ad abbandonare quel luogo.
L'unico posto in cui poteva accogliere più di 70 persone che avevano bisogno di assistenza medica era il pollaio del convento in cui viveva, che si trasformò rapidamente in un ospedale improvvisato.
Iniziò così la storia di un'altra delle sue fondazioni: l'ospedale Sant'Antonio, che venne inaugurato ufficialmente nel maggio 1959 con 150 posti letto. Attualmente riceve 3.000 pazienti al giorno.
Oggi le sue fondazioni sono note con il nome di Opere Sociali di Suor Dulce (Obras Sociais Irmã Dulce, OSID). Funzionano come un'entità privata di carità sotto le leggi brasiliane, sono accreditate dallo Stato federale e registrate dal Consiglio Nazionale del Benessere e dal Ministero dell'Educazione.
Tra queste opere c'è anche il Centro di Istruzione di Sant'Antonio, situato nella regione di Simões Filho, sempre nello Stato di Bahia.
Servizio al massimo delle sue capacità
Negli ultimi 30 anni di vita, la salute di suor Dulce era molto debilitata. Aveva solo il 30% della capacità respiratoria. Nel 1990 iniziò a peggiorare, e per 16 mesi restò ricoverata in ospedale,
dove ricevette la visita di Papa Giovanni Paolo II, con il quale aveva avuto un'udienza privata dieci anni prima.
Venne poi trasferita al convento di Sant'Antonio, dove morì il 13 marzo 1992. Migliaia di persone in condizioni di estrema povertà si riunirono per darle l'ultimo saluto.
Lo scorso anno il suo corpo è stato trasferito nella chiesa dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio, dove si è scoperto che era rimasto incorrotto in modo naturale.
Il miracolo per la sua beatificazione è avvenuto nel 2001, quando Cláudia Cristiane Santos, che oggi ha 42 anni, è sopravvissuta a un'emorragia incotrollabile dopo aver partorito. L'emorragia non si fermava nonostante fosse stata sottoposta a tre interventi.
I medici avevano perso ogni speranza, ma quando i suoi familiari chiesero l'intercessione di suor Dulce, in una catena di preghiera guidata da padre José Almí de Menezes, l'emorragia si fermò immediatamente.
Questo fatto è stato la conferma di una vita virtuosa, centrata sulla preghiera e sulla carità, partendo dalle cose più piccole. "L'amore supera tutti gli ostacoli, tutti i sacrifici", diceva suor Dulce.

(Autore: Carmen Elena Villa - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Dulce Lòpes Pontes, pregate per noi.   

*Sant'Eldrado di Novalesa - Abate (13 marzo)

Lambesc (Provenza) ? – Novalesa (Torino), 840 ca.
Eldrado, nato nella seconda metà dell'VIII secolo da una famiglia dell'aristocrazia guerriera franca, lasciò tutto per andare pellegrino a Compostela. Poi si diresse sul versante italiano del Moncenisio, in Piemonte, dove fu accolto nell'abbazia benedettina di Novalesa, presso Susa. Questa nel IX secolo conobbe l'apice del suo splendore. Ne fu abate e vi morì intorno all'844. Nella domenica successiva alla festa la teca con le reliquie viene portata in processione dalla chiesa parrocchiale all'abbazia. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel monastero di Novalesa ai piedi del Moncenisio in val di Susa, Sant’Eldrado, abate, che, appassionato del culto divino, riformò il salterio e promosse la costruzione di nuove chiese.  
Cominciamo con lo stabilire dove si trova Novalesa, esso oltre ad essere il nome di un Comune in provincia di Torino, è anche il nome della celebre Abbazia della Novalesa, posta allo sbocco della Valle di Susa nel Moncenisio, ai piedi dell’incombente Rocciamielone, a m. 822 s.m.
Essa fu fondata nell’VIII secolo e sotto i Benedettini divenne un celebre centro di cultura, poi decadde; soppressa nel periodo napoleonico e ancora successivamente nel 1855, è ora in custodia ai Benedettini.
E attraverso il valico del Moncenisio, proveniente dalla Francia, verso l’810, arrivò s. Eldrado a Novalesa (Nuova Lesa), cioè ‘nova lex’, abbazia ricca di storia e di memorie.
I documenti più antichi che parlano di lui, derivano dalla “Vita rhythmica” in versi ottonari del secolo IX-X purtroppo andata persa. E quanto si è salvato dagli antichi archivi novalisensi è stato pubblicato dall’Istituto Storico Italiano, in un’opera fondamentale dal titolo “Monumenta novaliciensia vetustiora” del 1898 e 1901.
Comunque, anche da queste fonti nulla si apprende dell’infanzia e giovinezza di Eldrado, che nato da nobile famiglia a Lambesc in Provenza, fu esemplare per la sua vita e ben presto chiamato allo stato religioso, finché venne in Italia nella Valle di Susa.
Due documenti certi, dell’825 e dell’827 accennano esplicitamente ad Eldrado chiamandolo abate di Novalesa; il primo documento è un diploma originale dell’imperatore Lotario I (795-855) che dona all’abate Eldrado il  monastero di Pagno, nel cuneese; il secondo è una sentenza risolta a favore dell’abbazia di Novalesa, a seguito di una contestazione sorta fra i monaci ed alcuni abitanti di Oulx (dal 1937 al 1960 Ulzio) paese posto nella stessa provincia torinese.
Ad ogni modo risulta certo il suo zelo per il culto del Signore, come pure la sua operosità come costruttore di nuove chiese, fra le quali quella di S. Pietro nella nativa città di Lambesc, come le
quattro a Monestier-les-Bains ed il grandioso campanile dell’abbazia di Novalesa; inoltre come revisore del Salterio (raccolta, nel testo ebraico, di salmi in sei libri; la Chiesa ha fatto del Salterio la preghiera liturgica per eccellenza, trasferendo i salmi nel Messale e nel Breviario).
Fra i suoi meriti si annovera la capacità di aver tutelato i diritti dell’abbazia, in quel tempo nel suo massimo splendore e l’aver fatto costruire un nuovo monastero a Monestier nella vicina Francia, località allora di intenso traffico di pellegrini e di viandanti.
La sua presenza è documentata, come ricoprente la carica di abate di una delle sedici più importanti abbazie dell’epoca, cioè Novalesa presumibilmente tra gli anni 820-825 e 840-845.
Ma la testimonianza più eclatante della santa vita di Eldrado, è l’esistenza all’interno del recinto dell’abbazia, di una chiesetta a lui intitolata, eretta tra il 1229 e il 1265 per volontà di Giacomo delle Scale, priore in quel tempo.
La cappella è fra le opere d’arte più significative del Piemonte, di evidente derivazione bizantina, con all’interno un ciclo pittorico di anonimo artista, che rappresenta varie fasi della vita di s. Eldrado. Egli è raffigurato prima come agricoltore, intento a tagliare con la scure un cespuglio, immerso nelle acque di un fiume; poi lo si vede come pellegrino davanti ad un sacerdote; poi è alla porta del monastero di Novalesa, dove un sacerdote di nome Arnulfo lo consacra e lo veste con abito monastico.
Segue un dipinto con s. Eldrado che libera la regione di Briançon dai serpenti, rinchiudendoli in una caverna; l’ultimo dipinto raffigura l’abate in punto di morte, che riceve la Comunione mentre un monaco piange.
Morì a Novalesa verso l’840; le sue reliquie, sono custodite in un’urna d’argento sbalzato, nella chiesa parrocchiale dell’omonimo paese. La sua festa si celebra il 13 marzo. (Autore: Antonio Borrelli
Nella sua importante famiglia provenzale, la vocazione militare passa di padre in figlio, ma lui rompe con la tradizione: né armi, né tornei, né partenze per campagne di guerra. Parte solo per andare pellegrino a San Giacomo di Compostella, in Spagna. E questo è tutto ciò che sappiamo di lui in gioventù. Una sua biografia in versi latini, scritta poco dopo la morte, è andata perduta, e noi lo conosciamo attraverso documenti e atti pubblici dei suoi anni maturi.
In epoca imprecisata, il provenzale Eldrado scende in Italia dai valichi del Moncenisio e si presenta all’abbazia della Novalesa, in Valle di Susa, sulla strada che collega l’Italia alla Francia. Questa comunità è stata fondata nel 726 da Abbone, personaggio eminente del regno franco al tempo di Pipino il Breve (padre di Carlo Magno). Agli inizi era una cosa modesta: un Monasteriolum virorum con la Regola di san Benedetto; un piccolo monastero maschile dedicato agli apostoli fratelli, Pietro e Andrea. Abbone stesso ha pilotato l’espansione della comunità, ingrandendo gli edifici per accogliere più monaci, creare lo Studium e dare ospitalità a pellegrini e poveri. Infine, morendo, lascerà all’abbazia gran parte del suo imponente patrimonio terriero nella Francia centrale e meridionale.
Ed è qui che arriva Eldrado.Manon come pellegrino di passaggio. Per lui la Novalesa è il traguardo. Pronuncia i voti, riceve l’abito, lavora e prega come tutti. Altro non sappiamo di lui monaco. Ma a un certo momento lo ritroviamo abate, per una durata imprecisata, collocata tra gli anni 820 e 840.
Di lui come abate si ricorda in particolare un’iniziativa liturgica e culturale che avrà effetti importanti anche fuori dall’abbazia e dall’Ordine benedettino. Lo preoccupano le imprecisioni e gli errori che trova disseminati nel libro dei Salmi (usato per il culto) a opera di copisti ignoranti, che generano altra ignoranza. Decide di offrire ai celebranti e ai fedeli i testi biblici nella purezza della loro versione latina e si rivolge per questo compito a Floro, un dottissimo diacono di origine spagnola, che vive e insegna a Lione. Floro si impegna in un lungo lavoro di controllo e di correzione, anche attraverso il confronto con il testo ebraico: così Eldrado e la Novalesa offrono ai cristiani d’Europa un Salterio riveduto «secondo la regola della verità ». Veicoli importanti di questa conoscenza sono i pellegrini, che di anno in anno sostano all’abbazia, partecipando alla sua vita liturgica: e che diffondono poi nei loro Paesi la versione corretta dei Salmi.
Quanto a Eldrado, è incerta anche la data della sua morte: verso l’anno 840, si ritiene. Pochi decenni dopo, l’abbazia è devastata e saccheggiata da bande saracene. I monaci fuggono a Torino salvando i libri e le cose più preziose. E fanno poi ritorno alla Novalesa verso l’anno Mille, costituendo un priorato che dipende dall’abbazia di Breme (Pavia).
Nel Duecento vi “ritorna” anche Eldrado, proclamato santo per voce popolare e onorato con la dedicazione di una cappella che racconterà la sua vita pure alla gente del XXI secolo, sulle sue pareti stupendamente affrescate: lo si vede nei grandi momenti della vita, con gli strumenti delle sue fatiche, con uno dei suoi amati libri. E una comunità di benedettini, oggi, dopo traversie secolari, vive nell’antica abbazia, dedicandosi alla preghiera e ancora ai libri, al restauro di preziosi volumi.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eldrado di Novalesa, pregate per noi.

*Sant'Eufrasia di Nicomedia - Vergine e Martire (13 marzo)
sec. IV  
Una giovane cristiana che coronò col martirio la sua fedeltà a Cristo all'inizio del secolo IV.
Etimologia: Eufrasia = che rallegra, che dà gioia, dal greco
Emblema: Palma
I Sinassari bizantini commemorano al 19 gennaio Sant’Eufrasia Vergine di Nicomedia, la stessa
Santa viene riportata in altri Martirologi fra cui quello Romano al 13 marzo.
Essa era una cristiana molto pia, vissuta all’inizio del secolo IV; sotto la persecuzione di Massimiano, fu catturata e al suo rifiuto di sacrificare agli dei fu consegnata ad un "barbaro" perché ne abusasse. Preferendo perdere la propria vita piuttosto che la sua castità, ella mise in atto, quello che gli agiografi chiamano "lo stratagemma della vergine" e che è comune ad alcune altre sante morte allo stesso modo. Per sviare l’aggressore dal suo proposito Eufrasia disse di conoscere un unguento capace di rendere inviolabile il corpo di chiunque se ne spalmasse e quindi per rafforzare il suo dire propose al "barbaro" di provarlo su se stessa. Ingannato dalle sue parole egli con la spada la colpì violentemente al capo decapitandola. L’episodio posto al tempo del Vescovo Sant' Autimio è riferito nella "Storia Ecclesiastica" di Niceforo Callisto. Il nome deriva dal greco Eyphrasia e significa "gioia, letizia".

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Eufrasia di Nicomedia, pregate per noi.

*Beata Francesca Tréhet - Vergine e Martire (13 marzo)
Scheda del Gruppo a cui appartiene: “Beati Martiri di Laval" Vittime della Rivoluzione Francese”
Saint-Mars-sur-la-Futaie, Francia, 8 aprile 1756 – Ernée, Francia, 13 marzo 1794
Francoise Tréhet, religiosa professa delle Soeurs de la Charité de Notre-Dame d’Evron, era addetta alla scuola parrocchiale di St-Pierre-des-Landes sin dal 1783.  
Fu ghigliottinata durante la Rivoluzione Francese per avere rifiutato i giuramenti prescritti e nascosto i preti refrattari al giuramento. Spiccando per il suo coraggio, salì sul patibolo cantando la Salve Regina. Le sue spoglie mortali, insieme a quelle della consorella Jeanne Véron, dal 1814 sono venerate nella chiesa di St-Pierre-des-Landes. Entrambe furono beatificate il 19 giugno 1955.  
Martirologio Romano: A Ernée nel territorio di Mayenne in Francia, beata Francesca Tréhet, vergine della Congregazione della Carità e martire, che si adoperò in ogni modo per l’istruzione dei fanciulli e la cura dei malati e, durante la rivoluzione francese, trafitta con la spada subì il martirio per Cristo.  
Francoise Tréhet nacque presso Saint-Mars-sur-la-Futaie l’8 aprile 1756, da una nobile e benestante famiglia di  possidenti terrieri. Professò i voti religiosi nella Congregazione delle
Soeurs de la Charité de Notre-Dame d’Evron, dedite all’educazione delle giovani ed a varie opere di carità. Per il loro caraterristico abito di colore grigio, erano note come “le piccole sorelle grigie”.
Attorno al 1783 Francesca fu inviata a Saint-Pierre-des-Landes per aprirvi una scuola parrocchiale e ben presto la raggiunse per coadiuvarla nella sua attività la consorella Jeanne Véron. Le due religiose insegnavano e si dedicavano inoltre all’assistenza dei malati. Francesca aveva un carattere molto forte e con la sua vivace intelligenza presagì il male che ben presto sarebbe derivato dalla Rivoluzione francese, non solo per la Chiesa ma per l’intera nazione.
Nonostante non vi furono denunce o lamentele nei confronti delle due suore, furono comunque inserite in una lista di condannati alla ghigliottina, per poi essere arrestate tra la fine di febbraio ed i primi di   marzo del 1794. Furono entrambe detenute ad Ernée, Francesca in prigione, mentre la consorella in ospedale.  
Il 13 marzo Francesca fu chiamata a comparire dinnanzi al tribunale detto “Commission Clément” ove, accusata di aver aiutato i monarchici, rispose che sia i vandeani fedeli al sovrano che i rivoluzionari erano comunque tutti suoi fratelli in Gesù Cristo e di conseguenza non avrebbe rifiutato ad alcuno il suo generoso aiuto.
Le fu allora richiesto di gridare: “Lunga vita alla Repubblica!”, ma la religiosa rifiutò e venne allora definitivamente condannata. Il verdetto redatto dalla commissione l’accusò di aver “nascosto sacerdoti refrattari e nutrito e protetto dei rivoltosi vandeani”.
Alla tragica sentenza fu data esecuzione quel medesimo giorno e Francesca salì sul patibolo cantando la Salve Regina: aveva soli trentasette anni. Sette giorni dopo toccò la stessa sorte a Giovanna Véron. Le loro spoglie mortali dal 1814 sono venerate nella chiesa di St-Pierre-des-Landes. Entrambe furono beatificate il 19 giugno 1955, insieme ad altri martiri della diocesi di Laval.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Francesca Tréhet, pregate per noi.

*Santa Giuditta di Ringelheim - Badessa (13 marzo)

Etimologia: Giuditta = zelatrice di Dio, lodata, dall'ebraico
Era sorella di San Bernwardo di Hildesheim, morto nel 1022. L'obituario di San Michele di Hildesheim, relativamente recente, indica come data del suo decesso il 13 marzo.
La tomba fu oggetto della venerazione dei fedeli e nel 1497 ci fu un'elevazione delle reliquie; ma ogni traccia di culto scomparve con la Riforma.

(Autore: Rombaut Van Doren – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Giuditta di Ringelheim, pregate per noi.

*Santi Graziano e Felino, Carpoforo e Fedele - Martiri (13 marzo)

Patronato: Arona (Novara)
La città di Arona, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore in diocesi e provincia di Novara, festeggia come suoi santi patroni due coppie di martiri: Graziano e Felino, Carpoforo e Fedele. Essi sono ancora oggi i protagonisti della celebre festa del Tredicino, che si svolge annualmente sulle sponde del lago nel mese di marzo. L’origine della festa, che ricorre propriamente il 13 del mese, da cui il nome popolare di tredicino, è collegata alla presenza ad Arona delle reliquie dei quattro Santi,
Per comprendere il motivo dell’importanza assunta da questa ricorrenza e fare chiarezza sull’identità dei santi martiri, si deve necessariamente partire dalle notizie riportate in un documento, tutt’ora conservato nell’archivio parrocchiale, risalente, per le parti più antiche, al X secolo.
Il manoscritto si compone di 249 fogli in pergamena ed è redatto, con caratteri gotici, in latino medievale Tra le molte e varie notizie che vi sono riportate, compare anche una narrazione della passio dei Santi Gratiniano o Graziano e Felino e della traslazione delle loro reliquie ad Arona. Secondo il racconto, Gratiniano e Felino erano due soldati romani di stanza a Perugia, convertiti al cristianesimo dal vescovo della città, dal quale furono poi battezzati.
Durante la persecuzione dell’imperatore Decio, essi  sarebbero stati martirizzati, insieme ad altri cristiani, per non aver voluto rinnegare la loro fede; I loro corpi vennero sepolti in un terreno non lontano dal luogo del martirio. Nel 979, il conte del Seprio Amizzone, capitano di truppe al soldo dell’imperatore Ottone I, avrebbe trasferito, col permesso del vescovo, i resti dei due santi ad Arona, per farne dono al costruendo monastero che ne avrebbe poi preso il nome. La fondazione del cenobio da parte dello stesso Amizzone, venne intrapresa come penitenza per una scomunica che gli era stata inflitta in seguito all’incendio che i suoi soldati avevano appiccato al portico della basilica romana di San Paolo sulla Via  Ostiense.
La critica agiografica tende a considerare leggendaria la vicenda dei due martiri perugini che, secondo alcuni studiosi, andrebbero identificati con i martiri Gratiliano e Felicissima. Se tale assimilazione corrisponde a verità, è comunque certo che al tempo di Amizzone si era già verificato uno sdoppiamento della coppi a di santi, forse per un errata lettura o trascrizione di Gratiliano, trasformato in Gratiniano e della sigla Fel. interpretata come Felino o anziché Felicissima.
Ancora maggiori problemi di identificazione pone l’altra coppia di martiri: Carpoforo e Fedele, di cui ci vengono fornite notizie da padre Francescantonio Zaccaria, un gesuita del settecento che ricercò e studiò molti documenti esistenti negli archivi aronesi.
Egli ricorda la tradizione locale che voleva i resti dei due santi, anch’essi soldati romani ritenuti appartenenti alla famosa Legione Tebea, traslati nella città per opera di un religioso del monastero,
per forse salvarle da eventuali saccheggi all’epoca di una delle guerre combattute tra Milano e Como. Quest’ultima città ha tuttavia sempre contestato ad Arona il possesso dei resti di San Fedele, custoditi gelosamente nella locale chiesa che porta il suo nome.
Il martirio del santo è, infatti, avvenuto sulla sponda settentrionale del Lario, nei pressi di Samolaco, ove sarebbe stato raggiunto dai soldati imperiali incaricati di ucciderlo. Il suo corpo, deposto inizialmente in un sepolcro sul quale venne edificata una chiesa, fu trasportato a Como nel 964. Lungo i secoli molti sono le testimonianze che accrediterebbero la presenza in questa città delle reliquie del santo, le più importanti delle quali sono relative alle ricognizioni cui esse furono sottoposte da parte dei vescovi locali. Una avvenne nel 1365, dopo una quindicina di anni dalla presunta traslazione arnese (che il Bascapè colloca nel 1350) mentre un'altra nel 1638; nella prima il vescovo Stefano Gatti fece incidere sulla cassa che conteneva i sacri resti: Qui giace tutto ed integro il corpo del martire Fedele, quasi in risposta alle pretese della cittadina sul del Verbano. Qui vari documenti, risalenti al 1259 ed al 1321, testimoniano tuttavia l’esistenza di una venerazione in Arona per questo santo ed il suo compagno Carpoforo, dei quali si dice appunto di possedere i sacri corpi. Una ulteriore testimonianza a favore degli aronesi verrebbe da uno scritto di Goffredo da Bussero (1220 – 1289 ca.) il quale, parlando del gruppo dei presunti martiri tebei uccisi nei territori lombardi, afferma: sed horum duo corpora ad monasterium de Arona dati sunt. L’autore non specifica però di quali santi tra Fedele, Carpoforo, Cassio, Essanto, Licinio, Severo e Secondo, vennero donati i resti.
Nel febbraio del 1576 San Carlo Borromeo, dispose che venissero trasferite a Milano le ossa dei Santi Carpoforo e Fedele ritrovate, circa un secolo prima (1487), in un muro della chiesa abbaziale durante dei lavori nell’edificio; la sua intenzione era quella di collocarle nella erigenda chiesa milanese a loro dedicata. Benché non esistesse di fatto tra la popolazione di Arona una particolare devozione verso questi due santi, bastò la notizia che le loro reliquie sarebbero state portate via dalla città per suscitare un movimento di protesta, tanto intenso quanto inaspettato. Le autorità cittadine, su pressione popolare, dovettero rivolgersi al Borromeo, giungendo infine ad un compromesso col quale si decise di riportare ad Arona le ossa dei due avambracci sinistri  dei martiri. La restituzione avvenne il 13 marzo dello stesso anno, nella cornice di una grandiosa festa di popolo che le cronache dell’epoca ricordano come memorabile, con la partecipazione di trenta, forse quarantamila persone giunte da ogni centro sulla sponda del lago. Il consiglio cittadino decretò che ogni anno l’anniversario di tale ricorrenza sarebbe stato decretato giorno festivo e autorizzò per l’occasione lo svolgimento di una fiera  che, col passare dei secoli, crebbe sempre più d’importanza, attirando sulle sponde del lago migliaia di persone. Al ricordo di tale restituzione venne unita anche la commemorazione per gli altri due martiri Gratiniano e Felino, unificando in tale data la loro festa, un tempo celebrata nella terza domenica dopo Pentecoste.
A prescindere dalle vicende biografiche delle due coppie di martiri, rimane insoluto il problema dell’identificazione delle loro reliquie. Si può ipotizzare che per quanto riguarda Gratiniano e Felino, giunsero dall’Umbria solo parte  dei resti dei due martiri che, se identificati con Gratiliano e Felicissima, ancora riposerebbero rispettivamente nella cattedrale di Civita Castellana e nella chiesa di San Sisto a Viterbo. Per Carpoforo e Fedele resta il dubbio, se si deve dar credito alla notizia della traslazione, circa quali corpi siano stati trasferiti ad Arona, visto che anche nel caso di San Carpoforo, oltre a quello già ricordato per san Fedele, i comaschi ne venerano le reliquie presso l’attuale chiesa parrocchiale di Santa Brigida nel borgo di Camerata, ivi trasferite, nel 1932, dalla vicina basilica romanica sorta in suo onore. Soltanto un’accurata ricognizione, accompagnata da una indagine anatomica scientifica ed un confronto con i depositi di Como, potrebbe aiutare a fare ulteriore chiarezza sulla provenienza ed identificazione delle reliquie aronesi. I resti dei Santi Gratiniano e Felino sono conservati, dal’700, in un sacello sopra l’altare maggiore, mentre i due avambracci dei Santi Carpoforo e Fedele, restituiti dal Borromeo, sono custoditi in un cofanetto reliquiario sull’altare della seconda cappella di destra.
Nell’arte locale i quattro santi sono raffigurati in abiti militari rinascimentali, senza particolari attributi che li contraddistinguano; i più importanti esempi sono ovviamente conservati nella chiesa loro intitolata ad Arona. In particolare si possono ricordare: la pala quattrocentesca, dell'abate Calagrani, opera di Ambrogio Bergognone (1489), collocata sulla parete del coro dietro all'altare e i rilievi marmorei laterali dell’altare maggiore, probabilmente eseguiti dallo scultore "Pollicetus de Luonibus" di Milano.

(Autore: Damiano Pomi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Graziano e Felino, Carpoforo e Fedele, pregate per noi.

*San Leandro di Siviglia - Vescovo (13 marzo)
Cartagena (Spagna), ca. 545 - Siviglia, ca. 600
Etimologia: Leandro = uomo calmo, uomo sereno, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Siviglia in Spagna, San Leandro, vescovo, che, fratello dei Santi Isidoro, Fulgenzio e Fiorentina, con la sua predicazione e il suo attivo impegno convertì dall’eresia ariana alla fede cattolica i Visigoti, con l’aiuto del loro re Reccaredo.  
É di antica e influente famiglia romana di Cartagena (più tardi trasferita a Siviglia).
Suo padre, Saveriano, muore  ancora giovane e tocca a lui aiutare i fratelli minori Isidoro, Fulgenzio e Fiorentina.
Tutti e quattro, poi, sceglieranno lo stato religioso, e Isidoro sarà famosissimo in tutto il Medioevo per la sua grande opera enciclopedica intitolata Etimologie.
Questo è il tempo dei Visigoti.
Entrati in Spagna dalla Gallia nel 415 col consenso di Roma, dopo il crollo dell’Impero d’Occidente hanno combattuto a lungo contro resistenze locali, insediamenti di altri popoli nordici, contro spedizioni bizantine, arrivando poi a unificare sotto il loro dominio la maggior parte del territorio,
Portogallo incluso, al tempo del re Leovigildo (morto nel 586).
Il suo regno è grande, ma diviso tra spagnoli cattolici e visigoti (con altri gruppi) ariani, cioè contrari come Ario alla dottrina della perfetta uguaglianza del Cristo con il Padre in divinità ed eternità.
Leovigildo vuole arrivare all’unità religiosa, che per lui significa “tutti ariani”, tutti cioè a dire "Gloria Patri per Filium in Spiritu Sancto", invece del "Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto" dei cattolici.
Il monaco Leandro vuole invece convertire gli ariani, con gli scritti e con la predicazione, e ottiene un successo risonante quando si fa cattolico addirittura Ermenegildo, figlio del re.
Ma questa conversione ha poi un sanguinoso risvolto politico-familiare: Ermenegildo capeggia una ribellione contro suo padre, che lo sconfigge e lo fa uccidere. Ed espelle poi dalla Spagna i suoi sostenitori, tra cui Leandro, che resterà per qualche tempo a Costantinopoli.
Quel soggiorno gli consentirà tuttavia di stringere amicizia con il futuro Papa Gregorio Magno, allora inviato pontificio in Oriente, al quale suggerirà di scrivere le famose omelie su Giobbe, Moralia in Job.
L’esilio non dura molto.
Attento alla pace interna, re Leovigildo richiama in patria tutti gli espulsi.
Compreso Leandro, del quale deve avere  grande stima, perché lo nomina vescovo di Siviglia e addirittura lo mette come consigliere accanto al proprio figlio Recaredo.
Morto Leovigildo, Recaredo sale al trono, e incomincia in
Spagna una fase nuova.
Nel 589 Leandro convoca il III Concilio di Toledo, e qui si sanziona ufficialmente il passaggio di re Recaredo al cattolicesimo; e il fatto imprime una decisiva accelerazione al processo di unità spirituale in Spagna, favorito anche dalla liturgia detta mozarabica o visigotica, di cui proprio il vescovo Leandro (seguíto poi dal fratello Isidoro) è promotore e maestro, componendo anche preghiere cantate per la Messa.
Egli manterrà inoltre fino alla morte un’importante corrispondenza con Papa Gregorio Magno, della quale parlano i contemporanei, ma che purtroppo è andata quasi tutta perduta.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leandro di Siviglia, pregate per noi.

*Santi Macedonio, Patrizia e Modesta di Nicomedia - Martiri (13 marzo)  

Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, Santi martiri Macedonio, sacerdote, Patrizia, sua moglie, e Modesta, sua figlia.
Il Martirologio Siriaco del sec. IV annuncia al 13 adar (= marzo) "a Nicomedia Modesto sacerdote martire e ventuno   altri martiri". Allo stesso giorno, con qualche differenza, il Martirologio Geronimiano commemora, sempre a Nicomedia, "Macedonio sacerdote, Patrizia sua moglie e Modesta sua figlia"; non vi è dubbio però che si trattasse  originariamente di una stessa commemorazione che subí varie corruzioni a seconda dei testi letterari che se la sono trasmessa.
In mancanza di una passio di questo gruppo di martiri di Bitinia, non si possono precisare né la dicitura esatta della commemorazione, né la loro precisa identificazione e, inoltre, si ignorano del tutto modo ed epoca del loro martirio. I sinassari bizantini, pur tra i numerosi martiri di Nicomedia commemorati, ignorano del tutto questi tre, sia in quella abituale sia in altre date.
Attraverso il Geronimiano la commemorazione di Macedonio, Patrizia e Modesta è passata nel Martirologio di Beda e dopo di lui a Floro, Adone e Usuardo. Anche P. De Natalibus dedica nel suo Catalogo a questi martiri una breve notizia precisando che tutti sono morti per ignem conflagrati e Baronio, nel Martirologio Romano, inizia con la notizia ad essi dedicata le commemorazioni del 13 marzo.

(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Macedonio, Patrizia e Modesta di Nicomedia, pregate per noi.

*San Pienzio di Poitiers - Vescovo (13 marzo)

sec. VI
Martirologio Romano:
A Poitiers in Aquitania, nell’odierna Francia, San Pienzo, vescovo, che fu di immenso aiuto alla Beata Radegonda nel fondare monasteri.  
Quarto successore di Sant’ Ilario, Pienzio tenne il governo della Chiesa di Poitiers verso la metà del sec. VI.  
Aiutò San Radegonda nel 544 a costruire il suo monastero.
Dopo il 561 gli fu dato come successore Austrapio, il quale, però, attese a Chanto-ceaux la morte di Pienzio, avvenuta nel 564.
Nessun documento dà ulteriori notizie sulla sua vita. Una cappella da lui eretta a Maille divenne luogo di pellegrinaggio in suo onore e il suo culto si prolungò per dieci secoli in quel luogo, prima di trasferirsi nella chiesa parrocchiale.
Pienzio è festeggiato nelle diocesi di Poitiers (13 marzo) e di Lucon (6 marzo).

(Autore: René Wasselynck – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pienzio di Poitiers, pregate per noi.

*Beato Pietro II - Abate di Cava (13 marzo)   

† Cava dei Tirreni, 13 marzo 1208
Martirologio Romano:
Nel monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, Beato Pietro II, abate. Di questo Beato abate, tutti deplorano che non si sa molto, nessuno dei contemporanei si preoccupò di scrivere una biografia con le sue origini, che ci tramandasse le opere e gli atti del suo governo di abate.
Governò dal 1195 al 1208, succedendo all’abate Beato Benincasa, ma la successione non fu priva di contrasti, infatti nei primi tempi, parte della comunità elesse come abate Ruggero, ma poi la parte più comprensiva ed ubbidiente, prevalse e così verso la fine del 1194 si ricostituì la pace e la concordia con Pietro II come abate.
Il suo governo capitò mentre nel regno di Napoli e di Sicilia, ai Normanni subentravano gli Svevi, della Casa degli Hohenstaufen; riuscì a conquistare la benevolenza dell’imperatore Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, che si dimostrò subito generoso verso l’abbazia, infatti con un diploma del settembre 1195, confermava al monastero, i beni posseduti ed i privilegi concessi dai suoi predecessori.
Nel periodo dell’abate Pietro II, l’abbazia risentì dei turbamenti politici dell’Italia Meridionale, ebbe dannose vertenze con l’arcivescovo di Salerno e con il vescovo di Capaccio, ma subì anche vari soprusi da parte dei baroni vicini, che le fecero perdere non pochi possedimenti feudali e vari diritti di natura economica.  Comunque nel 1201 si ebbe la fondazione dell’ospizio di Vietri sul Mare, che costituì con il suo approdo, una delle più utili dipendenze dell’abbazia madre.
Dopo 13 anni di governo, Pietro II morì il 13 marzo 1208; ad evitare disordini, provvide egli stesso a designare il suo successore, il Beato Balsamo (1208-1232).
Il suo corpo fu deposto nella “Crypta Arsicia”, la grotta del primo eremitaggio del fondatore dell’abbazia della Trinità di Cava, Sant’ Alferio; ora le reliquie riposano sotto uno degli altari della magnifica basilica abbaziale.
Il 16 maggio 1928, Papa Pio XI, confermò il culto immemorabile che gli veniva tributato. Egli è l’ottavo successore di Sant’ Alferio e il nono fra gli undici Santi e Beati abati, che hanno santificato con la loro opera, la storica badia.
La festa è rimasta sempre al 13 marzo, data della sua morte.  
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro II, pregate per noi.

*San Rodrigo di Cordova - Sacerdote e Martire (13 marzo)

Cordova, sec. VIII - Cordova, 13 marzo 857
Fu prete a Cordova, nell'Andalusia, un territorio allora sotto il dominio arabo. Uno dei suoi fratelli era rimasto cristiano e l'altro invece si era fatto musulmano. Rodrigo viene ucciso da musulmani, ma non si tratta in questo caso di persecuzione.
È vittima, infatti, di risse familiari, fraterne. Tenta di mettere pace tra i due fratelli di fede diversa, ma senza riuscirvi. Un giorno per separarli Rodrigo viene picchiato, rimanendo privo di sensi.
A quel punto il fratello musulmano lo porta via e, all'insaputa di Rodrigo, dice alla gente che, gravemente malato, si è fatto anche lui musulmano. Rodrigo, però, si ripresenta vestito da prete: è lo stesso fratello a portarlo davanti a un giudice musulmano, accusarlo di apostasia e farlo condannare a morte. (Avvenire)
Etimologia: Rodrigo = ricco di gloria, dall'antico tedesco
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, passione dei Santi Ruderico, sacerdote, e Salomone, martiri: il primo, rifiutatosi di credere che Maometto fosse vero profeta inviato dall’Onnipotente, fu gettato in carcere, dove incontrò Salomone, che in precedenza aveva per qualche tempo aderito alla religione maomettana, e insieme portarono gloriosamente a termine la loro prova con la decapitazione.   
Era un prete di Cordova, nell’Andalusia, regione che aveva fatto parte del regno dei Visigoti di Spagna. E si trovava in una situazione non rara in quel territorio, allora sotto il dominio arabo: uno dei suoi fratelli era rimasto cristiano e l’altro invece si era fatto musulmano. E lui, Rodrigo, morirà per mano araba, sicché viene raffigurato in genere (anche in un famoso quadro seicentesco del Murillo) con i paramenti di sacerdote e con la palma dei martiri.
Dunque: un cristiano, un prete, ucciso da musulmani. Ma non si tratta in questo caso di persecuzione; all’epoca la regione vede convivere abbastanza pacificamente musulmani, cristiani ed ebrei. Rodrigo è vittima di risse familiari, fraterne.
Questo suo fratello musulmano continua a rimproverare all’altro fratello (il terzo) la sua “ostinazione” a rimanere cristiano. Rodrigo tenta di mettere pace tra i due, ma senza riuscirvi: c’è tra loro un’avversione insanabile; vedersi e litigare è tutt’uno.
Un giorno, appunto, Rodrigo li vede picchiarsi selvaggiamente e si lancia a dividerli, e allora i due si mettono a picchiare lui, che sotto i loro colpi crolla privo di sensi. A quel punto il fratello
musulmano lo porta via su un carretto – sembra morto – e alla gente stupefatta dà una spiegazione bugiarda: dice che Rodrigo è gravemente malato e che, sentendo vicina la morte, si è fatto anche lui musulmano.
La voce si diffonde, ma Rodrigo (nascosto nei dintorni) non ne sa nulla. Guarito, torna in Cordova sempre vestito da prete, e il suo fratello-accusatore lo trascina dal giudice musulmano: "Questo si era fatto seguace dell’Islam, e ora è tornato cristiano: ha tradito la nostra fede". Per un’accusa simile c’è la morte, mentre non si perseguita chi è e resta cristiano.
Il giudice cerca di aiutare Rodrigo a salvarsi, suggerendogli perfino una dichiarazione di fedeltà all’Islam, che lo renderebbe subito libero, senza chiedergli precisi impegni sulla pratica della fede coranica.
Ma Rodrigo non accetta: cristiano è, e cristiano rimane. A quel punto viene condannato a morte da un giudice riluttante, per l’insistenza di quel fratello.
Fratricidio, ben più che persecuzione. Rodrigo viene poi messo a morte con un altro cristiano di nome Salomone, condannato per lo stesso motivo.
Gettati nel fiume Guadalquivir, i corpi verranno recuperati dai cristiani, che seppelliranno Rodrigo nella basilica di San Genesio, presso Cordova, e Salomone in quella vicina dei Santi Cosma e Damiano. Per entrambi la santità è proclamata subito, dal basso, attraverso il culto popolare spontaneo.
La festa si celebra sin dal 1581, il 13 marzo.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Rodrigo di Cordova, pregate per noi.

*San Sabino - Martire in Egitto (13 marzo)
m. Egitto, 287
San Sabino, martire in Egitto, che soffrì molti tormenti ed infine fu gettato in un fiume.  
Martirologio Romano: A Minya in Egitto, San Sabino, martire, che, dopo aver patito molto, morì infine gettato nel fiume.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Sabino, pregate per noi.

*San Salomone di Cordova - Martire (13 marzo)
m. 13 marzo 857
Etimologia:
Salomone = pacifico, dall'ebraico
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, passione dei Santi Ruderico, sacerdote, e Salomone, martiri: il primo, rifiutatosi di credere che Maometto fosse vero profeta inviato dall’Onnipotente, fu gettato in carcere, dove incontrò Salomone, che in precedenza aveva per qualche tempo aderito alla religione maomettana, e insieme portarono gloriosamente a termine la loro prova con la decapitazione.   
Sant’ Eulogio è il più importante dei "Martiri di Cordoba" e Rodrigo e Salomone ne sono tra i più caratteristici. Questi tre e molti altri santi testimoniarono Cristo col sacrificio supremo a Cordoba, l'importante città andalusa che diede i natali a Seneca, Lucano, Averroè, Góngora, Pablo de Cespedes ecc. Strappata ai Visigoti dagli Arabi nel 771, la città raggiunse il suo apogeo culturale nel sec. X, prima di essere "riconquistata" nel 1236 da Ferdinando III di Castiglia.
I musulmani non si mostrarono sempre feroci persecutori dei cristiani, cui talvolta si limitavano ad imporre di non testimoniare pubblicamente la loro fede e soprattutto di versare un cospicuo tributo periodico: se ciò provocava lo spirito d'indipendenza e di autonomia della popolazione, i cristiani, soprattutto i più sensibili, non potevano certo tollerare una specie di ibernazione religiosa.
Di qui sporadiche reazioni alla dominazione musulmana, che venivano soffocate con altrettanto sporadiche persecuzioni. Appunto di una di queste reazioni furono protagonisti Rodrigo, Salomone ed Eulogio.
Quasi nulla sappiamo di Salomone, prima della prigionia che egli dovette subire con Rodrigo e che si concluse col martirio per sgozzamento il 13 marzo 857.
(Autore: Piero Bargellini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Salomone di Cordova, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (13 marzo)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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